Architetture moderne e mobili moderni nella Napoli del Novecento
Riccardo Serraglio
Dipartimento di Architettura e Disegno Industriale “Luigi Vanvitelli” – SUN
Delineare la parabola del mobile moderno nella Napoli del Novecento sarà impresa ardua, almeno quanto è stato per gli storici dell’architettura ricostruire le vicende dell’architettura napoletana moderna dello secolo scorso. Almeno fino alla metà del XX secolo, Napoli non può essere considera tra i centri propulsori dell’architettura moderna e la produzione del tempo è caratterizzata dalla prevalenza della cultura ottocentesca, sia per il linguaggio eclettico-storicista della maggior parte delle costruzioni sia per la permanenza di tecniche costruttive di tradizione locale. Nella città fascista gli edifici moderni sono rappresentati dalle architetture di regime – la Stazione Marittima, il palazzo delle Poste, il palazzo della Provincia, la Casa del Mutilato, il palazzo degli Uffici Finanziari, il palazzo del Banco di Napoli etc. – mentre le prime architetture razionaliste sono costituite dal Mercato Ittico e dalle ville Oro e Savarese di Luigi Cosenza. Per molti anni Cosenza è stato considerato l’unico napoletano meritevole di essere annoverato tra gli esponenti del razionalismo italiano, ma almeno un atro architetto di spessore, latore al suo pari di una modernità di tenore europeo, ha lavorato a Napoli e in altre località dell’Italia meridionale negli anni dell’anteguerra. Si tratta dell’ebreo polacco Davide Pacanowski, che studiò al Politecnico di Milano dal ’23 al ’28 e successivamente si formò a Londra e a Parigi, dove volle incontrare di persona Le Corbusier. Rientrato in Italia, l’architetto realizzò nel 1935 un innovativo fabbricato residenziale in piazza della Vittoria a Campobasso, caratterizzato da un linguaggio moderno assolutamente precoce per quegli anni in una cittadina meridionale di provincia.
D. Pacanowski, Disegno di studio per gli interni di Villa Maderna (1937).
Considerazioni analoghe a quelle esposte sinteticamente per l’architettura valgono per l’arredamento. Nel primo Novecento napoletano l’identità tra architettura e arredamento, rivendicata nel 1932 da Edoardo Persico, si rifletteva in una dimensione locale sostanzialmente retriva alle innovazioni della modernità europea. Se proviamo a immaginare le case napoletane degli anni venti-trenta, ce le rappresentiamo ammobiliate con cassapanche e stipi di fattura ottocentesca, in legno di castagno, lucidati con la ceralacca. L’uso delle essenze più costose, come il noce, il ciliegio o la radica d’olmo, era consentito dalla tecnica dell’impiallacciatura, ovvero dell’applicazione su una tavola di legno di abete o di pioppo di una sottile sfoglia di quei legni pregiati. I mobili a buon mercato, come quelli in “stile fiorentino” caratterizzati da dozzinali rilievi neorinascimentali, erano resi simili al noce dalla mordenzatura. Le case dei napoletani ricchi, invece, le immaginiamo impreziosite da specchiere e consolle baroccheggianti, ricoperte in foglia doro. Mobili che gli antiquari definiscono genericamente in stile “Luigi XVI” ma che a Napoli raccoglievano, piuttosto, l’eredità dell’ebanisteria borbonica. Si fa fatica a immaginare nelle case napoletane dei primi del Novecento qualche mobile art déco. Forse una étagère, un appendiabiti e qualche sedia di produzione Thonet, ma niente di più.
Negli anni del dopoguerra si assiste a una sterzata decisa, perché negli anni della ricostruzione il cemento armato diventò l’indiscusso protagonista dei nuovi quartieri residenziali. Con l’utilizzazione in larga scala di questo materiale si registrò un rinnovamento fisiologico del linguaggio architettonico, che si affrancò finalmente dalla tradizione ottocentesca per aderire alle semplificazioni formali del neo-razionalismo.
Dagli anni cinquanta agli anni ottanta numerosi architetti di talento ridisegnarono la città, ampliandola con nuovi edifici e quartieri nelle circoscrizioni di Fuorigrotta, del Vomero, di Posillipo. La “nuova architettura” dei palazzi indusse un “nuovo arredamento” degli appartamenti e, anche se qualche committente facoltoso non rinunciò a uno stile anticheggiante, la diffusione su scala nazionale dei prodotti dell’Industrial Design internazionale e italiano interessò anche le case napoletane, nelle quali non mancavano i mobili disegnati da Le Corbusier, Mackintosh o Mies, ma dagli italiani Gio Ponti, Albini, Mollino etc.. Tuttavia, la relativa industrializzazione del meridione rispetto alle regioni settentrionali giustifica l’assenza di una tradizione locale di furniture design e l’unico architetto napoletano che ha avuto un rapporto continuativo con i mobilifici del Nord-Italia è stato Filippo Alison, che stabilì alla fine degli anni sessanta una fruttuosa collaborazione con l’imprenditore milanese Cesare Cassina, specializzandosi nella riedizione dei mobili disegnati dai maestri del Novecento, da Le Corbusier a Rietveld.
In realtà, i migliori architetti napoletani attivi tra gli anni sessanta e gli anni novanta, pur inserendo nei loro “interni d’autore” qualche pezzo d’arredo di produzione industriale, caratterizzarono i loro interventi con mobili di falegnameria realizzati su disegno da abili artigiani. Non è possibile, in questo contesto, comporre un repertorio ragionato degli arredamenti moderni nella Napoli del Novecento, ma voglio ricordare gli interni disegnati da due architetti che reputo di particolare talento. Il primo personaggio meritevole di qualche riflessione è Michele Capobianco. Anche se nel suo articolato itinerario professionale i progetti per case unifamiliari rappresentano una rarità, i suoi interni esprimono la stessa abilità nell’elaborazione di sistemi spaziali al tempo stesso rigorosi e complessi mostrata nella progettazione degli edifici pubblici e dei grandi complessi residenziali. Nella ristrutturazione di casa Nastro scelse, non a caso, mobili scandinavi, affiancandoli ai migliori prodotti della neonata avanguardia italiana del design. In quell’intervento, come nei successivi di autocommittenza, la ricercatezza degli arredamenti non concedeva alcuna indulgenza alle ridondanze del lusso o all’eccesso di ornamento ma racchiudeva gli elementi di quel “razionalismo storicizzante” che costituì il carattere distintivo delle opere dell’architetto.
Anche le opere di Pacanowski meritano qualche considerazione, in primo luogo il palazzo della Società Esercizi Telefonici (S.E.T.) a Pizzofalcone, realizzato nel 1960-66 e di recente restaurato per essere adeguato alla nuova destinazione di sede della Facoltà dell’Università “Parthenope”.
D. Pacanowski, Disegno di studio per gli interni dell’edificio residenziale per il duca Visconti di Modrone (1946).
D. Pacanowski, Disegno di studio per gli interni dell’edificio residenziale per il duca Visconti di Modrone (1946).
L’edificio, dalla considerevole volumetria disposta intorno a una corte centrale, comprendeva spazi di lavoro divisi non dalle tradizionali tramezzature fisse ma dal mobilio occorrente agli uffici, realizzato su disegno in misure modulari e completamente smontabile.
Più in generale, i numerosi interventi di architettura degli interni eseguiti da Pacanowski nella sua lunga carriera, documentati da disegni e fotografie d’epoca, mostravano l’assunzione di un linguaggio personale, sostanzialmente autonomo dai modelli all’epoca disponibili, costituiti dai raffinati prodotti di serie firmati dai designer più noti. Proprio questo carattere di originalità e d’indipendenza accumunò il lavoro dell’architetto polacco a quello di molti suoi colleghi attivi a Napoli tra gli anni cinquanta e la fine degli anni ottanta. Il successo di questi architetti, tuttavia, deve essere condiviso con gli abili artigiani che seppero tradurre in opere concrete i loro disegni. Questi, che popolavano con le loro botteghe i vicoli dei quartieri popolari di Napoli o che provenivano da località di provincia rinomate per l’abilità dei loro artefici, ci hanno lasciato in eredità un impagabile patrimonio di cultura materiale. Dissolvere quest’eredità sarebbe un delitto. Dovremo, invece, dimostrare di saperla utilizzare attraverso il rilancio di una produzione di qualità nei settori dell’arredamento e del design proprio nel territorio napoletano.