Le stanze del tempo
Lorenzo Capobianco – Responsabile scientifico del progetto
Dipartimento di Architettura e Disegno Industriale “Luigi Vanvitelli” – SUN
Le “stanze del tempo” è il nome dell’ allestimento pensato per esporre 16 prototipi di elementi di arredo d’interno realizzati da 4 imprese artigiane in collaborazione con 4 giovani designer napoletani.
Il concept alla base del progetto di allestimento è quello della trasmissione al visitatore di un’esperienza conoscitiva ed emozionale affidata alla successione logica, lungo un percorso, dei diversi contenuti che sostanziano il progetto “Digital Design” ideato e promosso da Armena Sviluppo SpA.
Otto elementi -otto stanze- articolano lo svolgersi della mostra ospitata, in apertura dell’evento, negli ambienti del piano nobile della Reggia borbonica di Portici. Il progetto di allestimento, peraltro, è stato immaginato per una mostra itinerante: mostra che debba e possa, di volta in volta, essere smontata e ri-allestita in luoghi e ambientazioni plurime e diverse. Anche per questa ragione, le delicate questioni dell’inevitabile confronto tra le “opere” oggetto dell’esposizione e la ricchezza dell’apparato linguistico-figurativo offerta da uno dei più suggestivi monumenti dell’architettura settecentesca campana, hanno avuto un’influenza determinante nelle scelte di allestimento che, nel loro insieme, dovevano fondarsi su soluzioni adeguate al contesto assicurando, al tempo stesso, anche il necessario grado di flessibilità e variabilità richiesto dai possibili usi futuri.
Confronto, impatto, dissonanza: una variatio che cristallizza nell’immagine il fluire del tempo. Perché il tempo, appunto, è il fattore fondamentale del cambiamento, e nel cambiamento si misura la capacità dell’esperienza creativa di dar vita a una nuova identità nella lettura e nella configurazione degli spazi: a partire dallo spazio minimo, quotidiano e domestico, della stanza e degli oggetti d’uso, luogo della memoria e progetto di futuro. Da qui la scelta di lavorare con il tema della “stanza”, dell’interno nell’interno, della successione di episodi autonomi e chiaramente riconoscibili che, pur nella sobria unità linguistica degli elementi costituenti, siano in grado di garantire la necessaria visibilità ai prototipi oggetto dell’esposizione e di restituire al visitatore il senso logico che discende (e che può variare) dalla successione del loro montaggio.
Le “stanze”, le cui “pareti” bicrome (blu scuro per le superfici rivolte verso l’esterno, bianco per quelle che definiscono lo spazio interno) sono realizzate con telai in ferro smaltato bianco a sezione quadra e rivestiti da elementi in legno di betulla multistrato trattati con vernice ignifuga, sono parzialmente a cielo aperto; la sensazione di percepire un “pavimento”, invece, è affidata alla cromia di un tappeto in polipropilene. Questa scelta garantisce, da un lato, di “neutralizzare” l’ambiente circostante attraverso la costruzione di una “scena” controllata e protetta, immaginata per dare risalto ai prototipi, dall’altro, di stabilire una relazione percettiva (attraverso la visione dei soffitti affrescati e delle prospettive che si istituiscono nei percorsi di collegamento tra le stanze) con l’ambiente che ospita la mostra.
Dallo scalone monumentale che, nella Reggia di Portici, conduce dal vestibolo al piano nobile che ha ospitato l’appartamento privato di Carolina Bonaparte, è possibile accedere alla prima “stanza”: ingresso e uscita della mostra. Qui troviamo una presentazione istituzionale dell’iniziativa e del progetto che introduce al circuito espositivo. La seconda “stanza”, che si incontra lungo il percorso, è un vero e proprio dromos, un imbuto prospettico che introduce all’esposizione dei prototipi e le cui pareti accolgono due sezioni della mostra dedicate alla “casa napoletana” e al “mobile napoletano” nella stagione moderna della crescita della città. La terza “stanza” è un vero e proprio salottino dove, fermandosi su di un sistema di sedute mobili, è possibile vedere il documentario realizzato per il progetto che registra interviste e testimonianze dei protagonisti dell’iniziativa, i designer e le imprese. A loro è dedicata la quarta “stanza”, dove la parete principale racconta dei profili biografici e professionali il cui incontro ha originato i prototipi di elementi di arredo. Da qui, e fino alla conclusione del percorso, il visitatore incontrerà altre quattro “stanze”, quelle deputate a interpretare la memoria degli usi quotidiani nel design di mobili contemporanei.
Ai 4 elementi disegnati da ogni singolo progettista è dedicata una stanza.
Qualche altra considerazione, in certo modo ancora legata a quella “dissonanza” denunciata dalla contestualizzazione dell’evento, è qui d’obbligo.
Il nuovo design in Italia, infatti, stenta ancora a trovare una sua affermazione riconoscibile: sia perché messo ai margini dalla prevalenza del “classico”, dalla fortuna del vintage, dalla riedizione degli autori del Movimento Moderno (tutti elementi consolidati dai circuiti economici), sia perché portatore di una pluralità di tendenze che rendono incerto il riconoscimento di una sua cifra espressiva propria del presente. Si tratta di esperienze diverse e diversamente articolate, che tuttavia risultano in relazione tra loro, in qualche modo connesse, a segnale di un cambiamento del sentimento dell’abitare che è anche una diversa percezione degli spazi e delle funzioni. In questa direzione si apre una prospettiva interessante per una nuova stagione dell’artigianato industriale, rivisto in chiave contemporanea e tecnologica, per rinnovare, come annota più di una voce critica, il concetto di qualità, la ricerca di nuovi materiali, il ricorso a materie povere e inedite, il progetto di risanamento dell’ambiente.